Asineria
H. Carole Solvay
"L’arbre à palabres" e "Résonances"
published at 04/02/2021
Piume e fili di qualsiasi genere permettono a Carole Solvay di esprimere il suo mondo interiore e la delicatezza della sua percezione delle cose. Le sue arborescenze simili a ragnatele o i suoi nidi soffici affascinano per la loro morbidezza e le vibrazioni impercettibili.
“Per me è molto più difficile parlare del mio lavoro che farlo. Nei miei momenti buoni, farlo viene da sé. Mi basta non aspettarmi nulla, osservare con calma l’opera che ho iniziato, immaginare come può essere e andare avanti, e se non mi piace, guardo altrove. E mi piace quando trovo la vita, la poesia, o quando sono sorpresa.
E se sono in una brutta giornata, c’è del filo di ferro da lavorare, delle piume da tagliare e infilare, ogni sorta di lavoretti che mi mettono al centro e mi rassicurano.
Per molto tempo ho cercato il mio mezzo, e poi la piuma si è rivelata per caso come un’evidenza: sia per il fascino per la leggerezza dell’essere, quella propria della piuma, sia per la mia passione per gli uccelli. Essere autodidatta mi ha dato una libertà che non avrei trovato altrimenti. Ho iniziato esplorando i diversi modi per trasformare la piuma. Se avevo paura di mutilarla, era inutile. Così ho iniziato a scegliere le parti da usare: barbe, rachide, calamo. Realizzavo dei piccoli pezzi assemblando diversi frammenti di piume che chiamavo gris-gris. Con l’esperienza e la fiducia, il mio lavoro ha cominciato a crescere. Ho cominciato a lasciare i muri e ad abitare lo spazio. Ho esplorato la calligrafia, il disegno tridimensionale, l’idea del movimento, il fremito della materia. Ho trasformato ciò che si muove nell’aria in ciò che vive sul fondo del mare: coralli, meduse, conchiglie. Il tempo impiegato nella lavorazione di uno di questi coralli si avvicinava in modo infinitesimale al tempo necessario alla formazione e alla crescita del corallo sul fondo del mare.
A modo mio, immagino anche le cose della natura. Riuniscono ciò che mi piace quando lavoro: la nozione del tempo, l’opera rivista con precisione ogni giorno, il movimento, la parte aerea, e il mio immaginario di nebbia, pioggia, vapore, in dialogo diretto con i muri o la terra. Probabilmente le vecchie mura hanno anche un ricordo di ciò che percepivano del mondo, come i vecchi alberi.” Carole Solvay
L’arbre à palabres e Résonances
“L’Arbre à palabres è il risultato di un processo creativo lungo e meditativo ed il cui lavoro di scultura è stato final-mente realizzato in loco. Sebbene la ricerca inizi già in atelier, è proprio in funzione dell’Asineria che la scultura ha preso forma intuitivamente giorno dopo giorno. In questa stanza la luce è molto bella e mutevole e ho voluto creare una sospensione aerea e organica che fosse preda dei raggi del sole e delle correnti d’aria. È in questo turbinio di vibrazioni che L’Arbre à palabres si anima e mette le sue radici.
Al piano superiore ho installato Résonances, una delle mie Madrepore. È come fosse il negativo dell’Arbre à pala-bres. Un altro universo, scuro e sottomarino, ovattato. Vi è per me una sorta di respiro profondo che si sprigiona da questo grande corallo e che fa eco con l’opera vicina, come fossero dipendenti l’una dall’altra. E anche come se Résonances attingesse dalle vibrazioni e dalla fotosintesi dell’Arbre à palabres.” Carole Solvay
DATI BIOGRAFICI
Carole SOLVAY
BELGIO
Carole Solvay nasce nel 1954. Da bambina, passava ore a seguire il volo delle rondini e il movimento del vento nelle graminacee, ascoltando il fruscio delle foglie.
Quando passeggia, raccoglie le piume che costellano il suo cammino. Piume volatili e organiche; leggere, complesse, delicate ma robuste. Le piume nere, bianche e cineree, la cui bellezza discreta rende ancora più sorprendente l’iridescenza quasi fluorescente delle barbe delle piume di pavone.
Impara a filare e a tessere, da sola, con i libri, e prende gusto per questo lavoro solitario e ripetitivo. Ben presto sono proprio le piume che sceglie e infila sul filo metallico per creare dei gris-gris. Le prime opere nate da questo materiale inaspettato assumono forme vive. “Le idee mi vengono mentre lavoro. Cerco di restare libera e senza aspettative. Mi piace ciò che sembra vivo, poetico, o che mi stupisce.”
Carole Solvay si iscrive a una scuola d’arte, ma dopo qualche settimana capisce che i vincoli degli esercizi scolastici non le si addicono. Lavorando d’istinto, preferisce scoprire le cose al suo ritmo e a modo suo.
“Sento un gran bisogno di calma e solitudine, e il mio lavoro è particolarmente legato al mio sviluppo interiore. Allo stesso tempo, si costruisce lentamente e questa nozione di spazio nel tempo è particolarmente importante per me.”
Il lavoro di Carole Solvay si nutre della natura, del cielo, dello spazio, della luce e dei movimenti appena percettibili dell’erba e del fogliame. La sua vita è colma di storie di uccelli. Non ha mai deciso consapevolmente di lavorare con le piume, è stato un caso, “ma dato che ogni esperienza porta ad un’altra, continuo a farlo.”
Evolvendo, il suo lavoro diventa sempre meno figurativo, sempre più aereo. A poco a poco, ci fa dimenticare la materia e guadagnare spazio, scolpendo la luce.
Le sue piume si alzano in un gioco di forme e contorni, disegnando nell’aria, volteggiando nel vuoto, sussultando sotto il respiro del passaggio e rinascendo nei lineamenti di una crisalide, di una nebbia sospesa nell’aria, di una coltre verde, di una colonia di meduse o di polpi setosi.