13. Christian Lapie

Le opere di Christian Lapie interrogano la nostra memoria individuale e collettiva. Le sue installazioni di figure spettrali nascono in luoghi scelti pregni di storia. Invadono lo spazio che riempiscono con forza e serenità. Senza braccia, né testa, silenziose e potenti, interrogano e destabilizzano. Dato che è albero, l’uomo di Christian Lapie è spesso immenso, sovrasta lo spettatore senza spaventarlo, nonostante la sua statura e il suo lato oscuro e dimostra il sentimento di quiete e pace che provoca la compagnia degli alberi. Tutte assieme, le sculture assomigliano a sentinelle placide e immutabili. Vegliano su un passato sepolto e incarnano la presenza di un’umanità passata.

“Proveniente da una famiglia originaria da un piccolo villaggio situato nella Champagne, vicino a Reims, Christian Lapie ha dapprima sviluppato un approccio pitturale nutrendosi della memoria di una storia dolorosa. Con il tempo, l’artista è passato dalla superficie al volume per erigere imponenti figure la cui forza simbolica va di pari passo con il loro valore universale. Aldilà del microcosmo della Champagne, il suo lavoro ha conquistato luoghi molto estesi che non hanno più frontiere, né geografiche né culturali. Potenti e silenziose, le figure di Christian Lapie sono ricavate da imponenti tronchi di alberi, che sceglie per la rettitudine del loro fusto. Tagliate con una motosega, assumono una forma umana e sono quindi ricoperte con una ganga scura che le carica di atemporalità. Installate a gruppi o isolate in funzione delle situazioni nelle quali è chiamato a intervenire, l’artista le erge verticalmente e lo spazio se ne accaparra immediatamente. Allo stesso tempo ieratiche, spettrali e memorabili, le sculture di Christian Lapie fungono da semafori che sottolineano lo spirito dei luoghi che occupano”, scrive il critico d’arte Philippe Piguet.

Figure scure e atemporali, strane e protettrici, le sculture di Christian Lapie catturano inesorabilmente lo sguardo grazie alla loro straordinaria e universale presenza. Dapprima pittore, utilizza gesso, ossidi, ceneri su teloni grezzi montati su telai rudimentali. Quindi i materiali evolvono e diventano lamiere, cemento, legni bruciati. Le sue tecniche di lavoro, elementari se non rudimentali, sigillano l’immagine allo stesso tempo vicina e lontana, con un irreducibile “essere al mondo”. Gli artisti che affidano le loro opere all’intervento sul paesaggio sono, per forza di cose, artisti nomadi. Christian Lapie non fa eccezione: da una decina di anni, viene chiamato a intervenire in tutto il mondo: Giappone, Francia, Canada, Belgio, India…

“Le mie sculture non sono opere-oggetti. Ogni opera è una risposta a un invito. Lavoro sempre assieme alle persone che mi invitano. L’importante è essere invitato da qualche parte per pensare e creare queste figure in un nuovo contesto. I committenti mi contattano raccontandomi i loro desideri, descrivendomi il loro terreno, la loro storia, la loro famiglia, la loro foresta... Io mi lascio cullare all’interno di tutto ciò. Aggancio elementi. Propongo una sistemazione delle figure nello spazio per fare in modo che la magia possa avere inizio. L’aspetto umano è fondamentale nel mio lavoro. Altrimenti, non funziona. D’altronde, se non avesse un progetto, non realizzerei opere. Tutte le opere sono fatte per dei progetti. Bisogna sempre che ci sia una relazione umana”, spiega l’artista.

Invitato a esporre per la prima volta nel 2015, Christian Lapie ha installato La Constellation du fleuve (La Costellazione del fiume) nel parco storico della Tenuta di Chaumont-sur-Loire. Gruppo scultoreo di una dozzina di enigmatici personaggi, l’opera rimanda, a seconda degli immaginari, alle statue totemiche delle società antiche di qui o d’altrove. Diventati emblematici della Tenuta, i guardiani silenziosi e benevoli non se ne andranno mai via. La donazione dell’artista è celebrata quest’anno con la presenza di alcune delle sue altre opere.

DATI BIOGRAFICI

Christian LAPIE
FRANCIA

Christian Lapie è nato a Reims nel 1955. Dopo i suoi studi presso la Scuola delle Belle Arti di Reims (1972-1977), quindi presso la Scuola Superiore delle Belle Arti di Parigi (1977-1979), installa il suo laboratorio in Champagne da dove la sua famiglia è originaria.

L’idea di rendere visibili le cicatrici della Prima Guerra Mondiale fa evolvere la sua pratica artistica. Da una pittura a cera, sottile ed elaborata, i pigmenti diventano grezzi, associati ai sedimenti raccolti negli antichi campi di battaglia, nonché al gesso, agli ossidi e alle ceneri che proietta su teloni grezzi montati su telai rudimentali. Traumatizzato dal ritorno delle guerre (Balcani e Prima Guerra del Golfo), Christian Lapie introduce nelle sue opere una certa brutalità mediante l’associazione di materiali: legno bruciato, vetro frantumato, cimento e iscrizioni su lamiere, specie di bassorilievi alla stregua di In Case of War (1990), all’Australian Center for Contemporary Art, di Melbourne (Vincitore del Premio Villa Medici fuori le mura). Sensibili al suo impegno, alcuni musei e gallerie tedeschi di Aquisgrana, Essen, Francoforte… lo invitano ad esporre le sue opere.

Nel 1992, il Goethe Institut in Brasile lo invita a partecipare alla mostra collettiva Arte Amazonas allestita nel Museo di Arte Moderna di Rio, abbinata alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente. Soggiorna anche nel cuore della foresta amazzonica nel laboratorio messo a sua disposizione a Porto Velho. Il suo incontro con i Caboclos installati lungo il Rio Madeira lo scuote profondamente. Questa popolazione, la cui dignità contrasta con la loro vita ridotta all’osso, fa vacillare la sua posizione di artista, la sua pratica e il suo impegno. Nel 1995, il Ministero della Cultura e il Museo delle Belle Arti di Reims gli ordinano un’installazione per l’anniversario della resa tedesca firmata a Reims. L’opera War Game, ritenuta troppo sovversiva, non sarà mai esposta.

Dopo questi due eventi, Christian Lapie sviluppa una scrittura che si rivolge ai Caboclos, agli abitanti delle periferie, ai contadini giapponesi o indiani… nonché agli amanti dell’arte per affrancarsi dalle culture locali e nazionali e dialogare da un luogo all’altro e da un continente all’altro. L’albero, elevazione che collega la terra al cielo, è necessario. Da venticinque anni, l’artista li sceglie nelle foreste. I loro fusti giungono nel suo laboratorio dove li spacca a mano in funzione di quello che gli alberi gli offrono. Ne ricava, con la motosega, una grossolana sagoma umana, specie di ombra raddrizzata.

Se le sue prime opere sono state create per le terre martoriate della Champagne, dal 1995 Christian Lapie installa le sue figure nere in tutto il mondo: nel parco delle sculture di Echigo-Tsumari, in Giappone, ma anche in Francia presso la Fondazione Salomon, nel Museo delle Belle Arti di Reims, nell’Historial Jeanne d’Arc, di Rouen, nel Parco di Sceaux... Inoltre, fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private in Europa, negli Stati Uniti e in Africa. Ovunque, tendono uno specchio nel quale si riflette l’umanità, passata e presente.

Christian Lapie è rappresentato dalle gallerie RX (Parigi-New York) e Alice Pauli (Losana).