07. Le jardin de la terre gaste
Carta verde data a Jean-Pierre e Tangi Le Dantec
«Spingeva il carrello e tutti e due, lui e il bambino, portavano degli zaini in spalla […] “Tutto bene?”, chiese. Il piccolo fece sì con la testa. Poi si rincamminarono lungo la strada asfaltata nella luce color canna di fucile, sguazzando nella cenere, l’uno tutto l’universo dell’altro.» Cormac McCarthy, La strada.
«Quel luogo era così bello, talmente godibile e delizioso, che la stessa eloquenza si sarebbe trovata a corto di parole, colori e immagini retoriche se si fosse voluta divertire a descriverlo […]: poiché era veramente il rifugio dei giochi e delle beate delizie.» Francesco Colonna, Il sogno di Polifilo.
Da sempre, in tutte le civiltà, la prima funzione del giardino è stata quella di assicurare a chi vi entra il benessere dell’anima e del corpo in uno spazio protetto. Luogo di ritiro sottratto a un mondo ostile, estenuante, malsano o devastato, la cinta del giardino offre all’essere umano la possibilità di recuperare le forze e la salute grazie alla sua vegetazione, alla calma e alla bellezza propizie alla meditazione e al ristoro dell’anima.
Ora si affacciano nuove minacce, infinitamente più temibili delle precedenti perché mettono in forse l’esistenza stessa del pianeta. Per esempio il riscaldamento climatico ha già trasformato in deserto vaste superfici arabili nelle zone più fragili e povere del globo terrestre. Perciò oggi al giardino spetta una missone di estrema urgenza: essere, simbolicamente e materialmente, un luogo di resistenza che si oppone all’avanzata di questa waste land, questa nuova terra desolata.
È quel che il nostro giardino si propone di rappresentare in modo allegorico. Da un lato, una fascia di terra arida; dall’altro, a un livello leggermente inferiore, un « hortus conclusus » contemporaneo, protetto dall’avanzata desertica da una «muraglia» di ciocchi di legna con un’apertura al centro; infine un vialetto che porta dalla terra desolata al giardino permette ai visitatori di “chiudere il cerchio”.
Così il nostro giardino ambisce a riunire in un unico luogo non solo le due possibili immagini del mondo futuro, ma anche le due tensioni dei creatori di giardini presentate come antagoniste dall’artista scozzese Ian Hamilton Finlay in uno dei suoi aforismi: «Certi giardini sono descritti come luoghi di ritiro mentre in realtà sono dispositivi d’attacco.»
Progettisti
Jean-Pierre Le Dantec è architetto, ingegnere e scrittore. Professore emerito di architettura, è stato docente all’École Nationale Supérieure de la Nature et du Paysage di Blois, preside dell’École Nationale Supérieure d’Architecture La Villette di Parigi dove ha diretto anche il laboratorio «Architetture, ambienti, paesaggi ». Specialista di storia dell’arte dei giardini e del paesaggismo, ha pubblicato numerose opere sul tema tra cui Le Roman des jardins de France. Leur histoire (in collaborazione con sua sorella Denise, pubblicato prima da Plon poi da Bartillat e dalla MIT Press) ; Jardins et Paysages. Une anthologie critique (Larousse, poi éd. de La Villette) ; Le Sauvage et le régulier. Art des jardins et paysagisme en France au XXème siècle (Le Moniteur). Ma è anche romanziere (Graal Romance, Albin-Michel ; Ile Grande, La Table ronde ; Les Corps subtils, Seuil ; Étourdissements, Seuil).
Suo figlio, Tangi Le Dantec, è architetto. Scopre la botanica fin da bambino nel corso delle passeggiate col Prof. André-Georges Haudricourt, linguista ed etnologo francese, direttore di ricerca al CNRS (1911-1996). La sua tesi di laurea, intitolata «La Maison de la troisième nature», associava un edificio ecologico consacrato all’arte dei giardini e un giardino sperimentale. Oggi interviene all’Ecole nationale supérieure d’architecture di Parigi – La Villette in un gruppo di progettazione centrato sui rapporti tra architettura, paesaggio e qualità ambientale.