04BIS. Le Labyrinthe de la Mémoire
Carta verde data a Anne e Patrick Poirier
Nella ricca documentazione d’archivio sul Parco, i ricercatori hanno trovato numerosi scritti che attestano la presenza di un labirinto su un sito vicino al castello, non lontano dalla valletta delle brume.
Tale documentazione comprende un foglio volante, malridotto, con quello che è stato interpretato come la pianta del labirinto: un tracciato ellittico di diversi colori che ricorda la forma, geometrizzata, di un cervello.
A margine sono annotate queste indicazioni:
SOGNO – OBLIO / NOTTE / BLU SCURO
EMOZIONI – PASSIONI / CUORE / SANGUE / ROSSO
OSSERVAZIONE – ESPERIENZA – RAGIONE / NATURA / VERDE
INTUIZIONE / ORO / GIALLO
IMMAGINAZIONE – CREAZIONE – SPECULAZIONE / CIELO / AZZURRO
Si tratta di uno schema simbolico della psiche? Questa ipotesi è stata confermata dalla scoperta (in cima al foglio) di un titolo in latino quasi completamente cancellato, in lettere maiuscole: LABYRINTHUS MEMORIAE
Sullo stesso manoscritto sono stati decifrati altri scarabocchi in latino: VIA RUPTA / IN VINO VERITAS / VITIS VITAE ARBOR
L’uso del latino e il tipo di lettere hanno permesso agli studiosi di datare il manoscritto al XVI secolo, ma sull’interpretazione degli indizi esistono diverse congetture. Il labirinto è uno degli archetipi più antichi e universali del pensiero umano, poiché la rappresentazione di questo reticolo di strade senza uscita (Via Rupta) si ritrova in culture molto lontane tra loro nello spazio e nel tempo come quelle dei celti (labirinti in Irlanda e in Galizia), dei cretesi (Palazzo del re Minosse), dei greci (miti di Dedalo e Teseo), degli egizi (il labirinto d’Egitto descritto da Erodoto), degli etruschi, dei romani (l’antro della Sibilla di Cuma descritto da Virgilio nel VI canto dell’Eneide), per non parlare dei labirinti delle cattedrali cristiane. Il labirinto si trova anche, in forma poetica e letteraria, nel celebre libro di racconti persiano Le mille e una notte, che non è altro se non un viaggio infinito in un labirinto di narrazioni inestricabili (pensiamo alla descrizione del Palazzo dalle cento porte nella 61ª notte) e, più vicino a noi, nelle opere di Robbe-Grillet e Borges.
Figure mentali fattesi spazio, spazio mentale diventato visibile e penetrabile, il labirinto nel corso dei tempi ha ispirato innumerevoli creazioni artistiche e architettoniche, specialmente nei giardini manieristici e classici, ai quali sembra appartenere il LABORYNTHVS MEMORIAE di cui parliamo.
Sono stati intrapresi sondaggi del terreno, complicati dal fatto che in quella zona del Parco erano stati impiantati diversi giardini ornamentali. Ed è stato scoprendo cautamente i diversi strati del terreno, durante i carotaggi effettuati in diversi punti dell’appezzamento, che gli archeologi hanno ritrovato le tracce del labirinto. In effetti la sua pianta somigliava, conformemente al documento in archivio, alle circonvoluzioni geometrizzate di un cervello, all’interno delle quali chi vi entrava poteva errare e perdersi. Al centro del campo di scavo è stato portato alla luce un grande OCCHIO piuttosto inquietante. L’occhio del Minotauro?
La Direzione del Domaine di Chaumont si è proposta di ricostruire il Labirinto-Cervello nel sito originario. Si è deciso, per rispettare le indicazioni del manoscritto (IN VINO VERITAS, e VITIS VITAE ARBOR), di piantare della vite e di contrassegnare con colori diversi le zone di questa poetica metafora dell’anima.
Progettisti
Anne Poirier è nata il 31 marzo 1941 a Marsiglia e Patrick Poirier il 5 maggio 1942 a Nantes. Oggi vivono a Lourmarin in Valchiusa. Dopo aver studiato arti decorative a Parigi, soggiornano a Villa Medici dal 1967 al 1972. Dall’inizio del loro soggiorno, decidono di lavorare insieme e mettere in comune le loro idee e la loro sensibilità.
Anne e Patrick Poirier sono veri e propri viaggiatori della memoria, che considerano alla base di ogni forma di comprensione tra gli esseri umani e le società. Esplorano i siti e le vestigia delle antiche civiltà greca, romana, maia o indiana e li fanno rivivere attraverso dei plastici, ricostruendoli a scala ridotta. Sono contemporaneamente scultori, architetti e archeologi. Si interessano alla psiche di cui non cessano di indagare le strutture attraverso diverse metafore.
Le loro installazioni di plastici di siti archeologici in rovina, le gigantesche sculture crollate, gli erbai e le impronte, nonché le fotografie, instaurano delle fiction paradossali che conquistano a questi artisti, dall’inizio degli anni ’70, fama internazionale. Nel 1984 realizzano una commessa pubblica per l’area di sosta di Suchères sull’autostrada Clermont-Ferrand - Saint-Etienne, «La Grande Colonne Noire». Questa colonna monumentale crollata a terra (100 metri di lunghezza per 15 metri d’altezza) in realtà è un anti-monumento, un’immensa Vanità, che deride il potere e mostra la fragilità degli imperi. Seguiranno numerosi altri anti-monumenti in tutto il mondo, che rappresentano orgogliosi monumeti ridotti in rovina. Nel 1992, un’altra colonna spezzata a Toronto, in Canada, «Memoria del futuro». A Prato, in Italia, un’altra colonna smembrata viene fissata mentre cade. Nel 1996, gli artisti sono invitati dall’Istituto di ricerca del Museo Jean-Paul Getty di Los Angeles a organizzare una mostra dal titolo «L’ombra di Gradiva», in cui mescolano le creazioni personali con le collezioni del Museo, mettendo in evidenza il loro interesse per l’archielogia come metafora della psicanalisi... Nel 2007, espongono « Des Reflets de l'âme » (riflessi dell’anima) alla galleria Alice Pauli di Losanna, in Svizzera.
Ispirandosi ai racconti mitologici e all’esplorazione di città reali o immaginarie, l’opera che elaborano insieme è una metafora del tempo e della memoria. Passato e futuro sono intimamente mescolati, mostrandoci la fragilità delle culture e degli esseri.